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Varanasi, Holi festival e la cacca sacra

PREMESSA:

Dopo essere tornati a Kathmandu  per riprenderci i bagagli, con eccitazione, curiosità e, devo ammettere, anche con un po’ di timore partiamo alla volta della maestosa India… Siamo intenzionati a non perderci l'”Holi festival”, e la famosa misticità di Varanasi ci fa (forse erroneamente) dedurre che quello potrebbe essere il luogo ideale dove vivere l’esperienza.

Con un giorno d’anticipo acquistiamo il biglietto per un autobus locale (540 rupie, senza aria condizionata), che, in sole 10/11h, ci porterà sul confine.

Purtroppo nulla va secondo i piani e forando 2 gomme durante la notte ci tocca sostare 2/3h per tacconare i buchi. Naturalmente, causa narcolessia, non mi rendo conto di nulla se non quando Anto risale sul pullman sporco fino ai gomiti. Tutto eccitato mi racconta che è stato come aggiustare le gomme di un’enorme bicicletta.

Ore 9 del mattino, dopo 14 h di viaggio il pullman si ferma in un parcheggio e ci annuncia che la corsa è terminata. Spaesati ci guardiamo attorno, dopo poco scopriamo che per arrivare al confine mancano ancora circa 5 km e, stremati dalla notte estenuante, ci accomodiamo pesantemente su un risciò.

 

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Così arriviamo all’arco che delimita il confine nepalese, entriamo in un piccolo ufficio che ci timbra l’uscita dal paese e proseguiamo per una sabbiosa strada sterrata quasi del tutto priva di controlli.

 

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Superato l’arco con la scritta “Welcome to India” troviamo per caso un piccolo ufficio visti mimetizzato tra i negozietti di polvere colorata, pistole d’acqua, stoffe e pietre e anche lì, con orgoglio, ci facciamo mettere il nostro timbro d’entrata. In una decina di minuti sbrighiamo il tutto e ci dirigiamo, a piedi, nella zona Autobus. Ore 11 parte il viaggio della speranza verso Varanasi… il tragitto più patito della mia vita… altre interminabili 14h con soste eterne, momenti di sovraffollamento e, verso il tramonto, moltitudini di zanzare che pensavo mi mangiassero viva.

 

E’ passata ormai da un pezzo l’una di notte e con 30 ore di viaggio sulle spalle arriviamo alla stazione degli autobus di Varanasi. Prendiamo un tuk-tuk per dirigerci nella parte vecchia della città, un labirinto percorribile (tendenzialmente) solo a piedi.

Così cominciamo a “giocare”: destra, sinistra, su, giù, centro, tutto seguendo tortuosi vicoli brulicanti di militari, mucche, gente che dorme per terra, pecore, cani e….. scimmie…. le nostre prime scimmie di città, che saltano allegramente da un tetto all’altro.

Dopo una buona mezz’ora raggiungiamo l’obbiettivo: il letto.

Alloggiamo al “Golden lodge”, che ci affitta una camera con WiFi, ventilatore e bagno privato per 400 rupie. Niente male come sistemazione, bisogna solo non fare caso ai pochi inquilini che vengono fuori dalle tubature.

Ci svegliamo il mattino seguente, obiettivi della giornata: rifocillarci, sgranchire le gambe, prelevare e prepararci per l’Holi festival (festival Indù dei colori, che si tiene ogni anno in primavera).

 

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Affamati ci dirigiamo verso la Brown Bakery, su consiglio della Lonely, che per una volta ci azzecca. Il posto è un angolo di pace sul tetto di un edificio di 5 piani, una delle case più alte della vecchia Varanasi. Qui abbiamo la nostra prima, attesissima apparizione del Ganga (Gange). Essendo le scimmie animali molto dispettosi e famelici i ristoranti posti sui tetti come questo sono protetti da grate, il paradosso è che per una volta nella vita tu ti senti un animale in gabbia e loro i visitatori dello zoo.

Finita la mega colazione a base di pessimo formaggio, ma comunque formaggio, ci tuffiamo tra le viuzze in cerca di vestiti bianchi a prezzo stracciato. Anto cerca di comprare un Kurta Pajama (tipico abito maschile) ma poi opta per camicia e pantaloni, più comodi e più economici, io prendo un vestito e un paio di pantaloni, spesa totale 600 rupie (9 euro), con il senno di poi pure troppo ma come prima contrattazione ci accontentiamo. E’ il momento delle polveri (kumkum): rosse , gialle, verdi, fucsia… le bancarelle piene di ciotole dorate strabordano di colori. Ce ne sono di diversi tipi: più pastose, quelle che si usano con l’acqua e quelle a secco. Noi optiamo per le classiche polveri a secco (20 rupie per 100 gr) mentre i bambini e i ragazzi no, sono solo pro-gavettoni.

 

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Poi passiamo alla faccenda economica: il prelevamento. Purtroppo incontramo due problematiche: il massimale di prelievo di sole 10000 rupie (circa 150 euro) e, solo in alcuni ATM, la presenza di una commissione aggiuntiva di 200 rupie (circa 3 euro).

Conclusi gli obbiettivi giornalieri inizio davvero a concentrarmi su quello che mi sta intorno. La sensazione è quella di trovarmi in un’enorme caotica e meravigliosa stalla a cielo aperto… nell’aria c’è odore: di sterco, di monnezza, di sudore, di bruciato, di pelle animale ma anche di latte cotto, di zucchero caramellato, di burro fuso, di peperoncino, di cardamomo, d’incenso, di fiori… un mix che non ha assolutamente deluso le mie aspettative…

 

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Ci incanaliamo nel fiume di gente che fluttua in direzione dei Ghat (scalinate che scendono ad un corso d’acqua, in questo caso il Ganga) e lungo le rive passeggiamo verso nord. Ci avviciniamo sempre più ad una moltitudine di falò e così ci ritroviamo nel Manikarnika ghat, il luogo delle cremazioni, il più sacro dell’India. Stiamo lì immobili ed osserviamo. Osserviamo come viene comprata e pesata la legna su enormi bilance (ogni tipo di legno ha un prezzo diverso), osserviamo come i corpi vengono trasportati a braccia per le viuzze della città, su barelle, avvolti in teli bianchi e coperti di tessuti e fiori arancioni e gialli, osserviamo come vengono lavati i cadaveri nel Ganga per poi essere posizionati su cumuli di legna, osserviamo come vengono accesi i roghi. La visione è apocalittica. C’è un enorme, fatiscente tempio rosso che sovrasta tutto il ghat, sotto di esso 3 balconate con 14 pire accese, tutto il contorno trabocca di mucche e uomini, solo uomini scalzi in totale silenzio e devozione.

 

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E’ un emozione difficile da descrivere, un misto di incanto, scetticismo, imbarazzo, tristezza, angoscia e curiosità. Ogni tot senti un ceppo cadere, ti volti e vedi spuntare un pezzo del defunto in fiamme. Nonostante l’odore acre e fumoso che pervade il ghat ci si abitua in fretta. Essendo arrivati all’imbrunire, più passano i minuti, più il sole cala e più le fiamme si fanno potenti ed ipnotiche. La ritualità della cremazione non si interrompe mai, va’ avanti notte e giorno.

Con questa visione che prende stomaco, testa, cuore, naso e occhi ci allontaniamo per accendere la nostra candela da far scivolare nel Ganga e ci dirigiamo verso sud per rifocillarci. Veniamo così sorpresi dal Ganga Aarti, un altro rituale che si tiene giornalmente, al tramonto, nel Dashashwamedh ghat per onorare il Ganga: balli, candele, incesi e campanelle accompagnano il tutto. Ci sono centinaia di turisti che dalle barche fanno foto e filmini e altrettanti local sulla terra ferma in rigoroso silenzio e contemplazione.

 

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Ci stufiamo in fretta, siamo troppo eccitati per il giorno a venire. Mangiamo, con i nostri immacolati vestiti bianchi, al “Lotus lounge”, un ristorantino dalla gradevole atmosfera e dopo cena, finalmente, riceviamo la nostra prima bomba viola… evvaiii…. si parte…

Rincasando incappiamo in parecchi falò rituali accesi in strettissimi incroci (che quasi ci tocca saltare per riuscire a passare) ed in tantissimi indiani con bagagli al seguito che si preparano a passare la notte sulle sponde del sacro Ganga. Tanti ci raccomandano di rientrare in fretta nel nostro nido, perchè la notte, ormai giunta, non è sicura per le donne: uomini e ragazzi bevono troppo alcool e bham (bevanda a base di latte e ganja) così perdono ogni inibizione e non essendo abituati ad avere contatti con l’altro sesso diventano troppo aggressivi e maniaci. Accettiamo il consiglio.

 

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Dormo con un’irrequietezza curiosa di ciò che mi attenderà l’indomani.

Ore 7.30 pronta dritta con il mio vestito bianco, pronta per diventare una tela umana… un arcobaleno vivente…

Usciamo e troviamo tutto chiuso, solo i bambini ed i ragazzi sono già appostati sui tetti… comincia la guerra dei colori… e tra urla di gioia, musica, balli e adulti già pieni di colore ci rendiamo conto di una cosa: non ci sono donne in giro per le strade. Per le prime ore non ci diamo peso e ci mischiamo alla folla impazzita. Arrivano gavettoni da ogni dove, alcuni anche con una certa violenza, mani colorate spuntano ovunque, tutti vogliono colorare gli occidentali, tutti vogliono lasciare il loro segno variopinto, tutti cercano di trasformarci in due dipinti ambulanti. C’è chi lo fa con delicatezza e rispetto, c’è purtroppo chi lo fa con aggressività, violenza e malizia. All’inizio ci congediamo da questo scambio di tinte con una stretta di mano, poi più passa il tempo più aumenta l’insistenza per avere un abbraccio, spesso un po’ troppo prolungato (sono una vera amante degli abbracci ma in questa situazione non mi sentivo davvero a mio agio). A volte, per paura, ci dobbiamo nascondere dietro la polizia locale, perchè vederti arrivare incontro 30 ragazzi urlanti e desiderosi di toccarti ti fa passare tutta la fantasia di divertimento. Dopo un po’ l’aria di festa si trasforma in ansia. Così quando vediamo che certi ragazzi iniziano a strapparsi le magliette di dosso ci cerchiamo un angolino appartato vicino al Ganga e osserviamo la vitalità della gente ruotarci attorno. Veniamo fotografati così tanto da crederci VIP.

 

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In effetti ci sentiamo due opere d’arte. Ciò che ci circonda è ricoperto dai colori, le mucche sono colorate, i pavimenti sono colorati, le serrande dei negozi sono colorate, le facce di tutti sono colorate…. probabilmente anche le loro anime. Un’orgia di colori impazza intorno a noi. A questo punto pesto la mia prima cacca sacra, una caccona che mi inzozza infradito e piede. Così mi benedico e mi immergo nel Ganga fino alla caviglia… che emozione… mi sento quasi una vera indiana…

 

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Alle 2 pm si chiudono le danze, è tempo di riposare e di lavarsi la festa di dosso. Un mare di gente si immerge completamente nel fiume, cosicchè anche le sue acque torbide si colorano di vita.

Dopo ciò scatta un’esemplare pulizia delle strade, così meticolosa che se non fosse per i residui violacei sui volti di tutti nulla sembrerebbe esser successo, la vita riprende con il suo ritmo lento ma inarrestabile, i negozi riaprono, i ristoranti spadellano e tutto torna alla “normalità”.

……continua……

 

 

 

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