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Annapurna Hotel – parte II (seconda settimana)

– 18 feb, MANANG / YAK KHARKA, 5h, disl. 400mt, budget: 1100 NPR
Durante la notte nevica e prima di ripartire ci procuriamo due paia di ramponcini e delle ghette, che da Manang in su in questo periodo aiutano parecchio sui tratti innevati o ghiacciati (anche se abbiamo incontrato chi ha attraversato il passo persino in scarpe da ginnastica). Per acclimatarci prima dei 4000mt vorremmo sostare a Ghusang, ma tutti i lodge sono chiusi, quindi proseguiamo fino all’ “Himalayan Hotel View” a Yak Kharka di sopra, da dove si può godere una vista incredibile sul Gangapurna. Il limite dei 4000mt si supera proprio tra la parte inferiore e superiore del villaggio, dove la sera a cena scopriamo che come noi tutti hanno patito qualche giramento di testa, quindi meglio salire lentamente con qualche pausa lungo l’ultimo tratto del sentiero. La guida nepalese donna che qui incrociamo di nuovo ci consiglia di prendere una zuppa d’aglio per il giramento di testa, noi logicamente non ce lo facciamo ripetere due volte…

 

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Lasciando Manang
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L’Annapurna
– 19 feb, YAK KHARKA, budget 1100 NPR
Durante la notte Sara dorme poco e male a causa del mal di testa continuo, al mattino, dopo un oki, le passa, ma considerati i capogiri di ieri decidiamo di fermarci qui un giorno per acclimatarci meglio, salendo fino oltre Ledar e tornando giù. Per fortuna la giornata bellissima ed il panorama grandioso non ci fanno pesare per niente la sosta.

 

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Himalayan View Hotel, Yak Kharka superiore


– 20 feb, YAK KHARKA / THORUNG HIGH CAMP, 6h, disl. 900mt, budget: 3170 NPR (1740 High Camp + 1430 Thorung Phedi)
Una volta superato il ponte e poi Ledar il sentiero principale piega a sinistra verso un secondo ponte sospeso che conduce sul crinale opposto, dove si ricomincia a salire per  raggiungere Thorung Phedi dopo un lungo tratto in piano sotto una pietraia e poi in mezzo alla neve. Il bivio verso il secondo ponte non è segnalato, quindi fate attenzione per non scendere come noi fino al vecchio ponte di legno a livello del torrente per poi dover risalire alla stessa altezza dall’altro lato. Avvicinandosi e varcando la porta di T. Phedi ci si sente al di fuori del tempo, guardando le vette che circondano la conca si percepisce intensamente la schiacciante immanenza della montagna. La parete innevata che porta all’High Camp è davvero ripida (ramponcini raccomandatissimi) ma dopo una mezz’oretta di pausa ci sentiamo in grado di proseguire, incoraggiati da una coppia di ragazzi cechi che hanno già fatto avanti e indietro: ci parlano di una mezz’ora di salita ma evidentemente sono molto più in forma di noi che ci mettiamo poco più di un’ora di marcia lenta, faticosa e interrotta da pause frequenti per adattarci al rapido aumento di quota; gli ultimi 100mt di salita sono eterni, ci rendiamo conto che da fuori dobbiamo sembrare due astronauti sulla luna! Finalmente raggiungiamo il Thorung High Camp, ma la soddisfazione viene smorzata da un’accoglienza gelida e scontrosa, in più le stanze sono fredde, la stufa nella sala comune troppo piccola e i prezzi alti (si pagano persino la coperte extra…). A cena facciamo conoscenza con altri escursionisti tra cui uno chef dello Sri Lanka (quanti cuochi in giro per il mondo!) che però parla davvero troppo di amputazioni di dita per congelamento. Poi ci imbaccucchiamo per bene per cercare di riposare il meglio possibile, visto che la sveglia suonerà alle 5 del mattino con partenza alle 6, ma la notte purtroppo sarà tutt’altro che ristoratrice… Sara, nonostante il solito oki preso dopo cena, verso mezza notte ha nausea ed un forte mal di testa che continua ad aumentare: non possiamo fare altro che provare a scendere in fretta a Phedi sperando di trovare in qualche modo ospitalità nonostante l’ora. E qui la mia eroina dimostra ancora una volta il suo carattere eccezionale; mentre io preoccupatissimo cerco di dominarmi per non dimenticare nulla (chi lo sa quando e se risaliremo?) e ancora armeggio con le ghette pensando al buio ed al gelo di fuori, lei nonostante il malessere è già in cammino perfettamente equipaggiata. Infatti appena fuori vivo un momento di puro panico non riuscendo più a vederla, ma solo perché è già troppo in basso, e quando la raggiungo di corsa ci rendiamo conto che è una nottata serenissima, zeppa di stelle e neanche troppo fredda: forza, con le frontali vediamo benissimo ed in meno di mezz’ora siamo sotto. Subito non crediamo alla nostra fortuna, ma tutte le stanze non occupate del lodge sono aperte (vuoi vedere che il cordino benedetto dal monaco di Bodhnath che Sara porta al collo alla fine funziona?)! Poco dopo esserci sistemati lei comincia a sentirsi meglio (a volte possono bastare anche solo 300mt, quindi dovesse capitarvi non esitate a scendere in fretta), e ci addormentiamo scherzando sulle facce che faranno i due proprietari dei lodge il mattino dopo.

 

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Il tratto di vallata percorso oggi
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L’ingresso a Thorung Phedi
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Lentamente verso l’High Camp

 

– 21 feb, THORUNG PHEDI / THORUNG HIGH CAMP, 1h, disl. 300mt, budget 1000 NPR
Dopo una lunga dormita per riprenderci dalla nottata movimentata ci manifestiamo al responsabile del lodge che non fa una piega (riflettendoci poi pensiamo di non essere i primi ad avere avuto un inconveniente del genere), e gli chiediamo di telefonare al suo scorbutico collega più in alto per rassicurarlo che non ce la siamo filata nella notte… poi sentendoci un po’ “sopravvissuti” ci concediamo una colazione più abbondante del solito; qui si sta proprio bene, la struttura è bella, meno fredda, super panoramica e più economica di quella in quota (200 contro 350 NPR per notte). Quindi, se ve la sentiste di valicare il passo partendo da qui (1h di marcia in più e 700mt di dislivello in totale, partenza alle 5.00 am, ma col bel tempo, essendo allenati e ben coperti nessun problema) ve lo consigliamo assolutamente. Comunque noi non ci arrendiamo e verso mezzogiorno ripartiamo, pensando di trovare meno duro vista la ripetizione, ma niente affatto, il copione si ripete uguale uguale, compreso l’ “allunaggio” conclusivo. Questa volta però per esorcizzare il timore dell’ AMS molliamo gli zaini, camminiamo fino sul picco proprio sopra il rifugio salendo di altri 100mt circa e ci fermiamo per un po’ godendoci la vista mozzafiato dei giganti da 6000mt in su che ci circondano: non possiamo ancora credere di essere seduti a chiacchierare a 5000mt, già questo vale tutti i 10 giorni di cammino, ma la soddisfazione più grande andremo a prendercela domani, sempre se passiamo la notte senza “inconvenienti”…
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Dal picco sopra il Thorung High Camp (5000mt circa)
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Laggiù ci aspetta il passo…

 

– 22 feb, THORUNG HIGH CAMP / CHANBARBHU, disl. +400mt fino al Thorung La e -1200mt fino a Chanbarbhu, budget 2040 NPR
Ci svegliamo alle 5.00 un po’ tesi ma gasatissimi già solo per avere superato la nottata; il tempo è perfetto e mentre facciamo colazione da sotto arriva persino una comitiva alla quale ci accoderemo (è sempre consigliabile farlo se possibile). Indossiamo tutti gli strati che possediamo, ghette, ramponcini, frontali e, dopo l’ultima visita alla turca più fetida e rivoltante mai vista finora, alle 6.00 partiamo.  La salita di 400mt fino al passo non è di per sé particolarmente impegnativa (almeno percorsa con i ramponcini, visto che neve e ghiaccio sono sempre assicurati, anzi si parte molto presto proprio per evitare di sprofondare), l’unica cosa che può creare problemi, a parte l’altitudine, è il freddo, anche nelle giornate di tempo perfetto come la nostra. Pur non essendoci un alito di vento ci sono almeno 10 sotto zero, l’acqua nel tubo della camel-bag si ghiaccia (quindi borracce nello zaino!) e patiamo molto freddo a mani, piedi e gambe (calzamaglia, calzettoni e guanti molto caldi sono fondamentali). Durante questa salita in particolare mi sono reso conto dell’importanza di essere in gruppo, a volte per farsi “tirare”, a volte psicologicamente per vedere che non sei il solo a fare fatica o a sentire freddo, e che potresti trovare aiuto in caso di emergenza. L’alba dorata sui picchi è quasi ipnotica e desideriamo il sole come mai prima; quando finalmente verso le 8.00 i primi raggi ci raggiungono facciamo una sosta e scambiamo i guanti (anche i miei non sono granché ma comunque più caldi di quelli di Sara che non sente più le dita), però bisogna ripartire in fretta, dobbiamo rimanere in movimento, fa troppo freddo. Dopo tre ore circa di marcia in salita e diverse mini paue per l’altitudine superiamo l’ultima conca circondata da un anfiteatro di massicci ghiacciati e raggiungiamo il Thorung La – 5416mt: ci abbracciamo esultando emozionatissimi e orgogliosi di essere arrivati fino qui, io solo un anno fa non avrei neanche potuto immaginarlo. Ci sconvolge una guida nepalese che in tutta tranquillità si fuma una sigaretta per “riprendere fiato”, e mentre lo guardiamo sbalorditi spiega che questo percorso lo fa da vent’anni, sai com’è… Anche noi ci prendiamo 10 minuti per assaporare il momento, per le foto di rito a profusione ed un ultimo sguardo compiaciuto tutto intorno, poi ripartiamo cominciamo la lenta discesa quando all’improvviso, non so come, mi ritrovo a pensare a mio padre, e piango; piango perché avrei voluto tanto potergli raccontare tutto questo, piango perché so quanto amava la montagna e che sarebbe stato felice ed orgoglioso di me, e gli dico “pa’ hai visto? Il tuo vecchio sacco a pelo di piuma me lo sono portato fino qua”, proprio come se fosse lì di fianco. Tornato in me mi rendo conto che ci aspettano ancora almeno 1.200mt di discesa nella neve e mi passa immediatamente la commozione! Verso le 10.00 ci fermiamo per mangiare e levarci qualche strato, ormai il sole scalda parecchio, allora approfitto per controllare il piede destro: l’allucce sembra un san marzano e l’unghia mi fa malissimo. Tutto il resto della ripidissima discesa è una tortura e sono spesso costretto a procedere all’indietro, tipo “passo del gambero”, rimpiangendo di non avere un bel sacco nero per scivolare di culo sui tratti più scoscesi… i ruoli si sono invertiti ed ora è Sara che deve “tirare” me per tutte le 4 interminabili ore di sentiero, prima nevoso e poi fangoso, fino al “villaggio” (quattro hotel con cucina) di Chanbarbhu, dove ci gustiamo una meritatissima birra con due piattoni di chowmin (tipo noodles). Da qui dopo pranzo generalmente si prosegue per un’altra ora fino a Muktinath con molta facilità, sempre che il vostro alluce non vi imponga di fermarvi per forza come nel mio caso…

 

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Alba attesissima…

 

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…e i primi tiepidi raggi

 

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Ancora non ci crediamo

 

– 23 feb, CHANBARBHU / MUKTINATH, 2h, disl. – 500mt, budget 1580 NPR
Passiamo la notte in una stanza senza luce né acqua con pavimento e pareti di fango, tetto di tronchi e lamiera (sperando che non piova perché è forata qua e là), brande durissime e lenzuola, cuscini e coperte veramente impolverati e lerci; c’è di buono che, ormai abituati al freddo in quota, pur essendo ancora sopra i 4.000mt dormiamo benissimo. Al risveglio colazione veloce e si riparte, ma il mio alluce è dolorante tale e quale a ieri quindi ci impieghiamo il doppio del tempo, senza contare che la vallata è attraversata da diversi canaloni e noi seguiamo un sentiero che rimane sulla destra, mentre un local ci avverte (ahimè dopo mezz’ora di cammino) che per raggiungere il ponte che porta a Muktinath bisogna stare sulla sinistra, quindi dobbiamo tornare indietro. Ma una bella freccia no? Cosa li paghiamo a fare 40 dollari di permessi? Mmah! Tra un cristo e l’altro, Sara davanti e io zoppicante dietro, piano piano arriviamo al paese, ed all’ “Hotel Caravan” ci rifacciamo con una bella stanza, un’accogliente sala comune ed un’ottima cucina (peccato per il wi-fi millantato ma inesistente). Sara fa addirittura il bucato alla fontana in piazza ed io in camera trovo un unguento tipo balsamo di tigre che allevia un po’ le mie sofferenze al piede.

 

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Muktinath

 

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Lavanderina Himalayana

 

– 24 feb, MUKTINATH / JOMSOM / (GHASA), 6h, disl. – 1000mt, budget 2260 (compreso 1660 di pullman fino a Pokhara)
Questo tratto di sentiero ha molto poco a che vedere con i precedenti sia a livello paesaggistico che di percorribilità: soprattutto dopo il bivio per Kagbeni (che noi non abbiamo preso) è quasi tutto su strada carrabile sassosa, polverosa, brulla e semidesolata. Una volta usciti da Ranipauwa vorremmo seguire il percorso alternativo segnato sulla mappa che passa da Lupra, ma non troviamo  alcuna segnalazione, quindi seguiamo la strada scendendo fino a Jharkot e Khingar, superata la quale si sale per qualche tornante e poi si comincia a scendere e, per rimanere sul sentiero principale, bisogna proseguire sulla sinistra lasciandosi dall’altro lato il larghissimo canalone semiprosciugato che praticamente si costeggerà fino a Jomsom, spesso camminandoci dentro. Anche quest’ultimo bivio non è assolutamente segnalato e avremmo rischiato di sbagliare strada se non avessimo incontrato per caso le due ragazze olandesi con la loro guida conosciute a cena la sera prima. Dopo le prime 4 ore di marcia l’alluce mi fa di nuovo parecchio male e le discese ripide insieme alla strada pietrosa non aiutano, praticamente arrivo a Jomsom (dove termina ufficialmente il nostro trekking) barcollando, deciso a tentare di prendere direttamente un volo x Pokhara. Logicamente l’aeroporto è all’altro capo della città, ma una volta arrivati scopriamo che l’unica compagnia attiva in questo periodo ha un volo solo il mattino dopo ad un prezzo spropositato (112 dollari a testa), e dormire in zona costa carissimo: vince il pullman locale. Per fortuna la fermata è vicinissima ma non esiste un diretto per Pokhara, bisogna cambiare a Beni ed il bus è già al completo anche per il giorno dopo (tenetelo presente voleste risparmiare come noi), quindi non ci resta che prendere quello che porta a Ghasa. Arriviamo con il buio verso le 19.00 dopo 3 ore di lenta e accidentatissima strada di montagna, trovando alloggio in una guest-house familiare dentro una specie di baracca di assi di legno interamente occupata dal letto; di buono c’è che il dal-bhat è ottimo e abbondante, la stazione dei pullman vicinissima, come il torrente che gorgogliando concilia il sonno alla grande.

 

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Verso Jomsom

 

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L’ultima baracca

 

– 25 feb, GHASA / POKHARA
Alla luce del giorno scopriamo che qui a Ghasa, tolta una piccola cascata sulla collina dietro la stazione degli autobus, non c’è proprio niente di bello da vedere (forse ultimamente ci siamo abituati troppo bene…), e che i pullman per Beni partono un po’ quando pare agli autisti, quindi aspettando il momento buono facciamo colazione alla nepalese con due bei piattoni di chowmin mentre i presenti si rivelano interessatissimi ai nostri readers elettronici. Dopo altre 3h di sterrato per Beni tra strapiombi, ponti traballanti e altri chowmin, affrontiamo le ultime 3h di strada finalmente asfaltata fino a Pokhara, mentre sul nostro autobus si avvicendano contadini con galli e capre al seguito, donne incinte, vecchiette semicentenarie, bellissime nepalesi in abiti sgargianti, frotte di neonati ed un tenero bastardino purtroppo pulciosissimo. Ci sistemiamo in un albergo dotato di ristorante e terrazza sul tetto, wi-fi, bagno in camera con doccia e acqua calda che a questo punto ci sembra lussuosissimo, e per concludere in bellezza la nostra avventura ceniamo a colpi di birre e ottimi bistecconi al sangue all’ Everest Steak House. Qui rincontriamo a sorpresa Storm, il lappone conosciuto a Kathmandu, che solo ora scopriamo essere un conduttore di slitta coi cani, e Sara comincia subito a sognare aurore boreali e buchi nel ghiaccio per pescare mentre io non vedo l’ora di puntare verso paesi caldi ed isole tropicali!

 

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Ci fermiamo a Pokhara qualche giorno per rilassarci un po’ mentre il mio alluce ritorna quasi a dimensioni normali, seguendo perennemente in infradito il ritmo lento della cittadina intorno al lago; purtroppo l’orizzonte resta quasi sempre nuvoloso e non riusciamo a goderci il famoso panorama delle vette innevate riflesse nell’acqua, ma non ci rammarichiamo assolutamente, d’ora in poi ci basterà chiudere gli occhi e ce le troveremo di fronte in tutto il loro splendore, orgogliosi di averle vissute per un po’.

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